"La mia missione è aiutare gli altri ad andare oltre il pregiudizio"

Intervista a Cristina Nuti, atleta di Obiettivo3

Ha 51 anni, milanese doc, in Italia ed Europa è la prima donna affetta da sclerosi multipla ad aver completato un Ironman. L’ultimo a cui ha partecipato è stato quello di Amburgo, lo scorso 5 giugno, ma già sta lavorando al prossimo obiettivo. Il 2 luglio sarà, infatti, sulla griglia di partenza della granfondo ciclistica Maratona dles Dolomites Enel. 

Cristina Nuti - Obiettivo3
 

“Quando è arrivata la diagnosi di sclerosi multipla avevo 36 anni” racconta Cristina Nuti. “È venuto fuori tutto nel giro di 6 mesi ed ovviamente è stata una botta in testa. Ho iniziato a fare sport perché volevo dimostrare a me stessa che potevo essere quella di prima. Anzi, che forse avrei potuto fare ancora di più”.
Inizia il suo percorso da atleta professionista, prima con la corsa. Tra il 2017 ed il 2019 partecipa a 9 maratone, da Milano passando per New York, fino a Berlino. Poi arriva il triathlon e, nonostante le difficoltà (all’inizio non sapeva nuotare! ndr), è amore a prima vista. A 45 anni è pronta per l’agonismo, ma nessuno ancora è a conoscenza della sua malattia. Solo l’incontro con Alex Zanardi e la sua associazione, Obiettivo3, le danno la forza per uscire dal silenzio. 

Ho vissuto 8 anni nella negazione” ammette Cristina. “All’inizio non lo sapeva nessuno, avevo paura di essere guardata in maniera diversa, con gli occhi della commiserazione. Con Obiettivo3 ho capito che questo sentimento stava bloccando anche la grande voglia che avevo di aiutare gli altri. Dovevo vincere il pregiudizio per dare speranza alle persone. Oggi questa è diventata la mia missione, cerco di rappresentare un modello positivo. Ognuno deve trovare la propria maratona. Se ci provi hai già vinto, perché hai fatto qualcosa che prima non pensavi fosse possibile per te”.

Quando nel 2008 sono uscita dall’ospedale con la diagnosi di sclerosi multipla – racconta ancora - il primo obiettivo che mi sono data è stato quello di rimettermi sui tacchi. Una cosa sciocca, di quelle a cui ti attacchi… io non sono nemmeno tipa da tacchi, ma mi sembrava tantissimo, visto che non riuscivo neanche ad indossare le ciabatte. Inciampavo dappertutto. I segnali che arrivavano da terra al cervello, e viceversa, erano distorti. È questo che fa la sclerosi. Avevo perso la sensibilità a livello epidermico, mi sentivo una stanchezza infinita. Si chiama ‘fatigue’, è difficilissima da spiegare, è una cosa che ti senti addosso, una costante che ti accompagna. Poi ci sono i dolori. Hai un bruciore continuo dentro, come quando metti la mano nella neve, la tiri fuori e ti senti pulsare. Io ce l’ho tutto il giorno, tutti i giorni, dalla vita in giù, come se fossero tanti spilli. Sono sintomi invisibili – prosegue - ma di cui bisogna parlare”.

Gli atleti come me non sono diversi, semmai hanno una marcia in più, – aggiunge Cristina - ogni giorno dobbiamo combattere due volte: per le prestazioni, ma anche e soprattutto contro noi stessi, per non arrenderci. Io mi alleno tutti giorni, circa due ore ma quando la gara si avvicina anche due volte in un giorno. Devi imparare ad amare la fatica, allenarla, se non fatichi non provi neanche gioia quando raggiungi un traguardo. Naturalmente per me è importantissimo anche il bilanciamento nell’alimentazione, l’integrazione di Omega 3 e l’attenzione agli integratori durante le gare”. 

Qual è il prossimo obiettivo di Cristina Nuti?

“Andare avanti, sempre, perché la diversità non ha confini, ma solo nuove linee di partenza. La prossima gara sarà un’occasione per far passare questo messaggio. Ho sempre desiderato partecipare alla Maratona dles Dolomites, voglio assaporare ogni centimetro di quelle salite. Voglio continuare ad essere un modello positivo. Il fatto che le persone mi chiedano consigli mi sta dando tantissimo. Dopo il primo Ironman mi ha scritto il papà di una bambina di 13 anni con la mia stessa malattia. Ora mi manda le foto della sua bimba, che ha iniziato a fare atletica. Sono tante piccole cose che alla fine mi fanno capire che non lo faccio per nulla. Ai tempi della mia diagnosi la letteratura medica non era molto propensa al movimento, allo sport. Io invece, fortunatamente, sono andata un po’ contro. Ho avuto la fortuna, o il dono, di essere determinata. Magari non tutti,ce l’hanno, ma chi è più coraggioso può dare una mano a qualcuno più titubante. Chiedere aiuto non è un atto di debolezza, ma di forza. Questo mi ha sempre detto Alex. Ed io, se posso essere di esempio anche solo ad una persona, ho già vinto”.